E’ assai probabile che conosciate la storia di Peter Pan, il bambino che non voleva crescere, a capo dei Bambini Sperduti che avevano preferito abbandonare il loro mondo e le proprie famiglie per seguire Peter sull’Isola che non c’è; mentore dei fratellini Darling portati sull’isola ad affrontare insieme a Peter i temibili pirati; amico della gelosa fata Trilli; Peter Pan l’inconsapevole alleato del coccodrillo che ha in pancia un orologio che ricorda al comune nemico, il pirata Uncino, che il suo tempo prima o poi giungerà a compimento.
E’ anche probabile che abbiate sentito parlare della Sindrome di Peter Pan con cui ci si riferisce a quella condizione per la quale persone adulte sembrano rimanere fondamentalmente immature ed egocentriche, incapaci di prendersi delle responsabilità e di diventare davvero indipendenti.
Il nome Peter Pan è diventato sinonimo da un lato di spensieratezza che vuole resiste alle costrizioni di un’adultità vista come sostanziale privazione di libertà; dall’altro d’incapacità di maturare e in definitiva diventare una persona compiuta.
Eppure mi sembra che la storia di Peter Pan racconti ben altro e che forse, in parte, possa illuminare diversamente anche la storia di chi viene detto affetto dalla cosiddetta sindrome di Peter Pan.
Davvero la storia di Peter Pan è semplicemente una narrazione sul voler restare in una spensierata fanciullezza? Eppure basterebbe preliminarmente pensare che in questa storia ci sono rapimenti, tradimenti, gelosia, invidia, duelli, ragazzini che rischiano la vita. Bambini lasciati soli a sfidare i pericoli della spensierata isola che non c’è, spensierata nel senso che l’azione sostituisce il pensiero: non ci si può fermare a pensare, non solo perché tutto accade molto velocemente ma perché a quel punto ci si dovrebbe pensare soli.
I bambini che abitano l’Isola che non c’è non appaiono liberi nella spensieratezza di un’infanzia che si vuole protrarre indefinitamente. Mi sembrano piuttosto prigionieri della loro presunta libertà ovvero dell’essere stati lasciati soli.
Non sappiamo molto delle storie dei Bambini Sperduti che hanno scelto di vivere una vita sostanzialmente da orfani, ma penso che sia significativo che si chiamino “Bambini Sperduti” invece che ad esempio “Bambini liberi”.
Pensiamo poi agli adulti presenti nella storia.
I genitori dei fratellini Darling, che hanno dimenticato le gioie e le fatiche di essere bambini. E’ Wendy che sembra occuparsi dei bisogni emotivi dei fratellini più dei genitori che piuttosto chiedono anzitempo ai loro figli, soprattutto a Wendy, di diventare ancor più precocemente adulti. I genitori di Wendy hanno dimenticato, o non hanno potuto imparare, che il percorso verso l’essere grandi è fatto di tappe tutte ugualmente fondamentali e imprescindibili in cui la relazione con i genitori è un fattore d’importanza vitale; hanno insomma dimenticato che l’essere adulti non può essere una mera scelta, men che mai una scelta dettata da altri o peggio il risultato di una traumatica irrilevanza della specificità del proprio essere bambini che stanno crescendo.
Pensiamo ai genitori dei Bambini Sperduti. Non sappiamo nulla di loro, sono dei fantasmi, rilucono per la loro assenza. Forse erano già dei fantasmi evanescenti nelle loro funzioni genitoriali. Quale bambino preferirebbe vivere senza i propri genitori? I bambini perdonano praticamente quasi tutto ai propri genitori pur di non perdere un legame che è vitale. Accettare di essere dei bambini sperduti significa una rassegnazione oltre ogni speranza, la certificazione di essere già da lungo tempo dei bambini sperduti.
Gli altri adulti della storia sono Capitan Uncino e i suoi pirati, che appunto sono pirati e non almeno corsari, un’idea di adultità soltanto egoistica e arrembante, per cui i bambini sono ostacoli ai propri scopi o al più strumenti per il loro raggiungimento. Anch’essi hanno dimenticato cosa significhi essere bambini e hanno annacquato nel rum ogni istinto di accudimento, altrimenti accoglierebbero quei bambini sperduti e se ne prenderebbero cura invece che fargli la guerra invidiosi di ciò che loro stessi hanno s-perduto nel diventare adulti, invidia che acceca la loro empatia e gli impedisce di vedere ciò di cui quei potenziali figli avrebbero bisogno. Non sappiamo nulla neppure della storia di questi pirati ma forse anch’essi in passato erano stati bambini sperduti. Di Capitan Uncino si dice che in passato fosse stato il secondo del pirata Barbarossa ma io ho un’altra teoria al riguardo.
Nonostante la pervicace opposizione a crescere di Peter e la sua banda, credo che l’orologio che ticchetta nella pancia del coccodrillo scandisca l’inesorabilità di un’infanzia che se troppo protratta potrà anche non passare per l’adultità ma sicuramente è destinata a non restare infanzia: come un frutto colto troppo precocemente che andrà a male senza mai diventare maturo. Capitan Uncino, piuttosto che fare il pirata e navigare per mare, è come vincolato all’Isola che non c’è, pieno di rabbia verso un Peter Pan che gli somiglia più di quanto possa immaginare. Credo insomma che Peter Pan sia destinato a diventare Capitan Pan e i Bambini Sperduti siano la sua futura ciurma di pirati; e che tanto tempo prima Capitan Uncino fosse Uncino Pan, il predecessore di Peter, e i suoi pirati altrettanti piccoli bambini sperduti. Insomma la storia si ripete. Insomma la storia circolarmente si ripete come un coccodrillo che si morda la coda mentre ha in pancia un orologio che non smette di ticchettare.
Peter Pan, quando i piccoli Darling glielo propongono, apparentemente non vuole essere adottato. Ma chi ha subito un grave trauma abbandonico o chi non ha mai fatto esperienza di una relazione di accudimento, è spesso costretto ad un’autonomia forzata, un’autonomia per così dire quasi letterale visto che etimologicamente autonomia significa “vivere con le proprie leggi”. Vivere con le proprie leggi è l’unico modo di sopravvivere quando non si è stati protetti dalla legge del padre e della madre, quando prima di essere autonomi non ci si è potuti sentire protetti e poi progressivamente indipendenti ma mai soli. “Autonomia” ricorda poi un’altra parola “autotomia”, che è quello che fanno le lucertole quando rinunciando alla coda sacrificano una parte di sé pur di sopravvivere.
Come dimenticare poi che Pan fosse nella mitologia greca una divinità legata alla selvaggia e libera natura ma che fosse anche stato abbandonato dalla madre. Pan, dio silvano dal famigerato urlo spaventante (ma anche spaventato) da cui non a caso deriva la parola “panico”. Peter Pan è un bambino libero e selvaggio ma prima di tutto è un bambino abbandonato e segretamente spaventato che s’infila nelle situazioni più pericolose per convincersi di non aver paura o per dimenticare la cosa che più teme: di essere solo.
I bambini hanno paura di essere abbandonati dai propri genitori molto più di quanto possano temere coccodrilli e pirati. Se poi sono stati effettivamente abbandonati, letteralmente oppure emotivamente, spesso la paura di restare nuovamente soli, se non li spinge a forme di dipendenza estrema, li spinge verso forme di estrema ma insicura autonomia.
I ragazzi di oggi sembrano più vicini dei loro genitori ad un’idea di adolescenza che vuole restare libera e che non vuole crescere. Ma sembrano solo una diversa declinazione e gradazione dei Bambini Sperduti: non avendo quindi avuto esperienza del limite e della possibilità d’introiettare la legge genitoriale si ritrovano, più che indipendenti, costretti precocemente ad inventarsi una propria legge che non sanno come costruire, inconsapevolmente spaventati da una precoce assenza di limiti che nulla ha a che vedere con la libertà e che semmai li rende prigionieri del poter fare ciò che vogliono prima ancora di sapere chi possono e vogliono essere. Anche questa può essere una, solo più mascherata e meno estrema, forma di abbandono.
I genitori dovrebbero essere vicini ai figli, non somigliargli. Vicinanza e somiglianza sono tutt’altro che equivalenti. Non c’è contraddizione né paradosso: per diventare indipendenti i figli devono diventare dissimili dai propri genitori; e i genitori devono essere stati molto vicini ai figli per consentire ai propri figli di essere un giorno molto lontani da loro senza per questo sentirsi soli.
L’epilogo della storia racconta che Peter torna all’Isola che non c’è e che i Bambini Sperduti decidono di non farsi adottare. La nota di speranza giunge dal versante della storia apparentemente più normale ma per nulla banale: i piccoli Darling riconoscono che hanno ancora bisogno di un sano accudimento e di dover crescere con i tempi necessari; cosa più importante, sembrano capirlo anche i loro genitori che, forse non a caso, giungono infine a ricordare la propria infanzia, le avventure e i pericoli di quando erano essi stessi dei bambini.
L’epilogo sembra insomma mostrare due delle possibili evoluzioni della storia di ogni infanzia.
Peter Pan non è tanto la storia di un eterno bambino, ma di un bambino sperduto precocemente lasciato a cavarsela da solo, senza sicurezze e senza limiti. Peter Pan è un infelice e spaventato anacronismo.
(Letture consigliate: Sàndor Ferenczi, "Diario clinico")
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