Circola in rete una favola creata da una maestra per spiegare ai propri allievi la situazione di emergenza sanitaria che sta attraversando il nostro Paese, s’intitola “Coronello, il virus birbantello”. L’idea della maestra risponde all’esigenza dei bambini di dare un significato alle proprie esperienze affinché non rimangono senza nome, senza forma, ombre mostruose sotto il letto. L’idea imperante un tempo di proteggere i bambini dalla verità con il silenzio, come un sole malato faceva sì che quelle ombre si allungassero oltre il tempo fisiologico che gli sarebbe spettato. I bambini non sono mai protetti dal silenzio: non c’è niente di più spaventoso di un terrore senza nome, di qualcosa che si percepisce ma che non può essere neppure nominato (ad Hogwarts avrebbero potuto fare un lavoro migliore per i loro studenti che non chiamare il cattivo “ColuiCheNonDeveEssereNominato”). Quello di cui hanno bisogno invece è verità seppur che tenga conto del loro essere bambini.
Noi adulti, in questo non così diversi dai bambini, abbiamo allo stesso modo la necessità di definire la realtà che attraversiamo. Riuscire a dare una definizione a ciò che ci circonda e a ciò che ci accade ci dà la sensazione di poter sempre mantenere un certo margine di possibilità di gestione delle nostre vite. Eventi come una pandemia mettono però in scacco la nostra capacità di dare significato e di conseguenza la sensazione di aver un certo controllo sulle nostre esistenze. Il nemico in questo caso è invisibile, agisce inosservato, non lascia neppure presagire che delle difese andrebbero approntate (quali difese poi?). La reazione istintiva è la paura. Istintiva perché la natura l’ha iscritta nei nostri corpi come modalità immediata per affrontare un pericolo. Di fronte ad un pericolo la reazione di base per difenderci da esso è di attaccarlo o di fuggire. Ma come si aggredisce una minaccia invisibile e infinitesimale? Dove si fugge da una minaccia che potrebbe essere ovunque, che trasforma i gesti quotidiani in inconcepibili imboscate? La paura rischia così di perdere la sua funzione di protezione, fino a trasformarsi essa stessa in un ulteriore subdolo pericolo (pensate alla corsa delle persone che per fare scorte di cibo creavano assembramenti così aumentando il rischio di contagio).
Come aiutare noi stessi? Non ad eliminare la paura, perché sarebbe insensato, e ci esporrebbe ad ulteriori rischi. Lasciarci senza paura o in balia della paura finisce con il sortire un effetto simile: ovvero di essere nudi di fronte al rischio. La paura va accompagnarla con la razionalità: un mantello da indossare sulle spalle e non sulla testa a renderci ciechi. Mitigare l’ansia significa riprendere il controllo di ciò che è ancora in nostro potere invece di focalizzarci su ciò che è completamente al di fuori del nostro controllo. Facciamo sì che la nostra razionalità guidi la preoccupazione verso il suo significato etimologico di occuparsi prima, occuparsi di un problema prima che ci travolga, attraverso cioè un comportamento proattivo allontanare la preoccupazione dalla sua connotazione di vuoto rimuginio su tutto ciò che non dipendendo da noi accrescerebbe la paura fino ad immobilizzarci o a metterci a rischio con comportamenti controproducenti. Subito dopo il primo compito necessario, cioè quello di informarci su ciò che ci minaccia, conoscerlo al meglio delle possibilità che ci sono date, il secondo compito è quindi mettere in essere tutto ciò che ci è possibile per proteggercene proprio in virtù di ciò che sappiamo del nostro nemico. Oltre a difenderci questo ha poi un ulteriore risvolto, psicologico, positivo: 1- il nemico è invisibile ma non misterioso nè incomprensibile; 2- non siamo in balia del fato, possiamo sentire di avere ancora una quota di controllo, certo non sull’imponderabilità degli eventi ma sicuramente sui noi stessi e sui nostri comportamenti volti a proteggerci. Il secondo punto ha ripercussioni anche sul primo: ad esempio possiamo scegliere fonti attendibili per informarci. Le notizie che circolano tramite social network hanno spesso lo scopo non d’informare ma invece di fare leva sulla parte più emotivamente primitiva e incontrollabile dell’essere umano: si spaccia un biglietto per un film horror come se fosse invece un biglietto per un documentario.
Questa situazione d’incertezza e insicurezza può tra l’altro fare da cornice ad un pregresso disturbo ansioso acutizzandolo oppure far brillare una situazione di disagio per così dire latente.
In alcuni casi, come appunto in certi disturbi psicologici, la razionalità fallisce comunque nel mitigare l’angoscia. A volte si crea addirittura un cortocircuito per cui il constatare che la razionalità non riesce ad attenuare l’ansia può generare ulteriori paure. I motivi possono essere molteplici. In alcuni casi, ad esempio, una paura non è tanto o non solo il frutto di un difetto di informazioni o di razionalità, ma è il segnale di qualcosa di fondamentale di noi stessi che è sentito in pericolo. Oppure l’ansia è il risultato di parti di noi in conflitto; o magari d’ incongruenze irrisolvibili ovvero di obiettivi per noi vitali ma che apparentemente si escludono a vicenda. Una minaccia percepita come fisica può coprire una minaccia psicologica. E così via.
In questi casi l’ansia, per quanto talvolta persino invalidante, nonostante sia difficile da credere, non è il principale problema, ma ne è letteralmente il sintomo cioè la spia che ci segnala che qualcosa è sentito in pericolo e minacciato. In un disturbo come l’attacco di panico questa sensazione può assumere livelli parossistici, drammatici: è come se tutte le spie della nostra plancia mentale si illuminassero contemporaneamente, l’angoscia è totalizzante e in quel momento non ci dà alcun indizio su quale possa essere il problema o il rischio o la minaccia, perché quella minaccia, qualunque essa sia, ci ha già afferrati e ci sta schiacciando soffocando, uccidendo il nostro corpo o la nostra tenuta mentale (è questa la sensazione che chi ha sperimentato un attacco di panico frequentemente riferisce). In questi casi rivolgersi ad uno specialista è la prova che la nostra razionalità e la nostra capacità di controllo sul mondo, seppure momentaneamente detronizzati non sono ancora stati esiliati e possono essere il punto da cui ripartire.
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