Shawn Coss è un disegnatore ed illustratore dalle tinte cupe che ha provato a rappresentare il dolore del disturbo psichico. Prendendo a pretesto i suoi lavori vorrei proporre qualche breve riflessione sul timore, per chi soffre di un disagio o di un disturbo psicologico, di non essere capiti e sulla possibilità di comunque non rassegnarsi ad un’idea d’incomunicabilità ineluttabile della propria sofferenza.
I disegni di Shawn Coss sono angosciosi e per lo più senza colori, l’inchiostro sembra distillato dalla stessa dolorosa sostanza del disagio che vuole rappresentare: quelli che disegna sono corpi senza dettagli salvo quei pochi che coagulano il senso specifico di quella sofferenza. Chi ha vissuto un disturbo psicologico conosce del resto molto bene la sensazione, nei momenti più duri, di sentirsi appiattito contro il proprio dolore che sembra come cancellare molta parte della complessità articolata della persona che si è.
Immagino che Shawn Coss con i suoi disegni non voglia comunicare l’inesorabilità della prigione mentale della sofferenza psichica. Semmai i suoi disegni vogliono provare a far evadere la sofferenza proprio da quella sensazione d’incomunicabilità che le è caratteristica: quando si sta male facilmente ci si sente soli, convinti che gli altri non possano capire. Ed in effetti è difficile capire una sofferenza così intima come quella del disturbo psicologico, a meno che non ci si sia passati a propria volta. E’ questa incomunicabilità un grande dolore che si aggiunge al dolore. Una malattia organica è spesso più evidente nelle sue conseguenze, più facilmente permette anche vagamente di mettersi dei panni dell’altro, di suscitare l’empatia derivata dalla possibilità di più facilmente essere in grado pensare a come ci si potrebbe sentire al posto dell’altro che sta male. La malattia mentale invece è più intangibile e questo può facilmente far sentire a chi ne soffre che nessuno potrà capire la profonda solidità della sofferenza che provoca nonostante non ci sia una zona fisica da additare come sede di tanto dolore. Il disagio psichico inoltre, più frequentemente di quello fisico, sembra coinvolgere il cuore stesso del nostro essere persone, individui, da cui può scaturire a volte un sentimento d’imbarazzo, se non addirittura di vergogna, che fa sentire noi ancora più isolati e il nostro vissuto incomunicabile. Il corrispettivo di questa difficoltà risiede nelle persone che a volte non sanno come maneggiare una sofferenza che ha tanto a che fare con l’intimità essenziale di una persona cara, un tipo di sofferenza che facilmente mette in scacco una certa idea pragmatica di aiuto che difficilmente può applicarsi in modo diretto in questa sfera di disagio. Così, a volte, ci può trovare ad affrontare commenti che più che di sostegno sembrano di giudizio, quasi come se la sofferenza mentale fosse qualcosa di auto-inflitto o comunque un dolore di serie B, qualcosa “solo” nella nostra testa, una ridondanza di significato (a un cardiopatico non verrebbe da dire “E’ solo nel tuo cuore”) che vuole dire che quella è una sofferenza da cui potremmo uscire con uno sforzo di volontà.

Se c’è un merito che i disegni di questo artista hanno è quindi quello di provare a comunicare quello che è difficilmente rappresentabile a parole. Hanno però l’apparente limite di offrire una sola faccia: ci fanno intuire ma sembra non sappiano comunicare un orizzonte di speranza. La speranza però difficilmente è scindibile dalla comunicabilità. Il dolore deve circolare, essere raccontato, sfiorato, a volte toccato e in qualche occasione può essere addirittura compreso o almeno intuito, trasmesso e riaccolto non più identico a prima: la speranza non può essere disgiunta da tutto ciò. Le scarnificate e dense illustrazioni di Shawn Coss sembrano impossibili da considerare un preludio di speranza eppure ci fanno quanto meno sospettare che potrebbero esserci modi di comunicare il proprio privatissimo dolore, e quindi forse addirittura modi per essere capiti e magari raggiunti.
Disturbo post traumatico da stress
Il trauma è una creatura mostruosa diventata inscindibile dalla persona traumatizzata, lo ghermisce e non lo lascia mai, ha come vita propria e s’insinua tentacolare nella sua esistenza con dolorosi flashback o incubi su quanto accaduto. La persona è parassitata dal trauma, prostrata e fiaccata dal suo peso, incatenata ad esso: il passato è onnipresente, è dietro e davanti, satura il presente che diventa residuale e spaventevole perché è incerto e per la sua potenzialità di riattivare ricordi su qualcosa che vorremmo ma non possiamo dimenticare: il presente non è presente, è quasi mera ombra del passato traumatico.

Anoressia.
Questa immagine mostra una ragazza scheletrica, la pelle del volto è un’ombra sul teschio, ogni peculiarità della persona levigata dalla malattia fino quasi ad essere cancellata o irriconoscibile. Il suo essere un unico irripetibile è affamato dall’ossessione per il peso e per le dimensioni del proprio corpo; ossessione raffigurata nel disegno con un metro che è un cappio che stringe la pancia e quindi lo stomaco della ragazza, la separa in due fino a farla somigliare ad una clessidra che scandisce il progressivo diventare terra della carne, lo scorrere e consumarsi dei chili, del corpo, del tempo e della vita stessa. Paradossalmente si consuma anche il suo essere chi è: paradossalmente perché essere ed essere amate per nient’altro che se stesse è invece tutto quello di cui lei ha bisogno: l’assenza di fame è fame di riconoscimento al di là di ogni cosa, anche del proprio corpo.

Autismo.
Un ragazzo dalla bocca cucita a rappresentare l’essere chiuso in se stesso, l’impossibilità di comunicare. Un’altra bocca è spalancata forse in un urlo ma rivolta verso il cielo e gli spazi siderali, non può essere ascoltata.

Fobia sociale.
Gli altri, vissuti come potenziale fonte di giudizio e umiliazione, sono rappresentati da mani che assediano, fumose e minacciose come spettri: forse sono mani benevolmente tese, ma s’impone il fantasma di ciò che si teme potrebbero infine dimostrarsi. Le proprie braccia, nel tentativo di evitare ogni contatto, sono quasi fuse col corpo: impossibilitate a toccare gli altri, inservibili a noi stessi, ci rendono prigionieri.

Disturbo bipolare.
L’ombra è una chiazza indistinta, colata per terra come bile e lacrime.
L’ ombra è singolare, è una, ma inganna perché è proiettata quasi da due entità in alternanza (depressione e mania) che si danno le spalle ma sono inseparabili.

Disturbo dipendente di personalità

Depressione maggiore

Disturbo borderline di personalità

Disturbo ossessivo compulsivo

Depressione post partum

Ansia

Comments